In camere divise
la notte li congiunge.
Sentono il suonatore d’organetto,
l’invisibile Terzo.
La propria porta
è la loro stessa morte,
il colloquio della vita
giunge dalle pareti,
di volta in volta li ricopre
con canti mai eseguiti
per niente.
Fuori strappano l’erba
per ciò che è rimasto,
nelle chiome se la gettano
come colore che si estingue.
Laddove la rinuncia è il cuore:
l’occultante
timore della pelle.
La sua remota peluria
custodisce il movimento.
Tu la sfiori.
ALFRED KOLLERITSCH, TR. BEATRICE DONIN
martedì 24 agosto 2010
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