mercoledì 27 maggio 2009

IN MORTE DI FRATEL GIOVANNI

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente mi vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de' tuoi gentili anni caduto.

La madre or sol, suo dì tardo traendo
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo:
E se da lungi i miei tetti saluto,


Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta
E prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l'ossa mia rendete
Allora al petto della madre mesta.

UGO FOSCOLO.

COSI' PIU' NON ANDREMO...

Così più non andremo
In giro senza mèta
Nella notte fonda
Anche se il cuore vuole ancora amore
E la luna risplende luminosa.

Perché, come la spada logora il suo fodero
L'anima consuma il petto:
Deve placarsi allora il cuore
E l'amore stesso riposare.

Così, anche se la notte fu creata
Per amare, anche se il giorno
Ritorna troppo presto: noi
Più non andremo in giro senza mèta
Alla luce della luna.

GORDON BYRON, TR. FRANCO BUFFONI

LE RICORDANZE

Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! Allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre dè servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di sé, ma perché tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol dè malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per sé; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vòti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.
E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
Dè miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai cò silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia! ) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
O Nerina! E di te forse non odo
Questi luoghi parlar? Caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.

GIACOMO LEOPARDI
... Son tornato a vedere
Quell'angolo di mondo dove passai
Esule due anni impercettibili.
Già un decennio ètrascorso - e per e molto
E' cambiato per me da allora vnella vita,
E anch'io piegato alla norma di tutti
Sono cambiato - ma qui nuovamente,
Il passato subito m'afferra,
E sembra ieri che vagavo ancora
Per questi boschi.
Ecco la casa negletta,
Dove aitai con la mia povera njanja.
Non c'è più la vecchietta - né oltre la parete
Io più odo i sui passi faticosi,
Né il suo premuroso sfaccendare.

Ecco il selvoso colle, sotto il quale
Spesso assorto sedevo - e contemplavo
Il lago, con mestizia ricordaando
Altre sponde, altre onde...
Fra un oro di campi e il verde dei pascoli
Esso azzurreggia nell'ampia distesa;
Attraverso le acque sconosciute
Naviga il pescatore trainandosi
Povere reti. Su rive lontane
Sono sparsi villaggi - e dietro quelli
Si contorce un mulino, a stento le sue pale
Girando al vento...

ALEKSANDR SERGEEVIC PUSKIN

A UN ALBERO

...e per eterne vie passavano
su di noi sorridendo i signori del mondo,
sole, luna, stelle; e anche i lampi delle nubi,
i figli ardenti dell'attimo, scherzavano intorno.
Ma nel segreto migrava il Dio del nostro amore,
che non ha invidia, immagine di celesti prìncipi,
e il profumo, l'anima sacra e pura che spesso
tracima, nutrita dall'ora argentea di primavera,
infondeva nel rosso delle sere e nelle onde della notte.
Davvero vivemmo liberi in un'intima vira infinita,
senza pena, tranquilli, uguali in un sogno felice,
ora paghi di noi e ora volando in luoghi lontani,
ma nel profondo essere sempre uniti e viventi.
O albero gioioso! A lungo, a lungo potrei ancora cantare
e perdermi guardando il tuo capo fremente.
Guarda, guarda. Qualcosa si muove, vengono vergini
velate e forse tra loro c'è la mia fanciulla.
Lasciate, lasciate, lo debbo. Addio La vita mi strappa,
perché segua la traccia d'amore, con passo d'infanzia
Ma non mai, o o buono spirito, io voglio scordarti,
o eterno, immagine di chiho più amato.
E se venisse il giorno in cui io fossi con lei
riposerò sotto di te con lei, o spirito amico.
E non ti sdegnerai, ma verserai ombre odorate
ed un suono di canto sui felici.

FRIEDRICH HOLDERLIN, TR. ENZO MANDRUZZATO

DI QUI NON MI PARTO

Di qui non mi parto
quantunque la sorte mi sia qui matrigna,
e, fosse anche più matrigna,
non resterei qui ancora?

Assai caro mi è questo luogo;
se ne va la primavera; se ne vada,
possono andarsene il sole le stelle...
io non me ne vo, io resto qui.

Io sono un albero, la mia anima è la radice;
;
senza radice l'albero non vive;
e come potrei strapparlo dal suo terreno,
dal cuore della mia bimba che qui sta?

Perché di qui non mi parto
quantunque la sorte mi sia qui matrigna,
resterei qui ancora.

SANDOR PETOFI, TR. UMBERTO NORSA

DA TANTO TEMPO

Da tanto tempo l'ho scoperto:
come la rana sono anfibio.
Ora mi acquatto sul fondo di cieli
che crepitano, ed è questa poesia
la bolla d'aria dell'anima mia.

Non ho padroni malvagi,
non ho servi che attendano i miei ordini;
comr Dio e come i pesci
vivo nel cielo e nel mare.
Il mio mare! Un oscuro mondo, un tiepido
mondo di braccia amorose. Il mio cielo
è la chiarezza dell'umanitàù
colta colla ragione.

ATTILA JOCZEF, TR. UMBERTO ALBINI

STIAMO SU UNA CIMA SELVAGGIA

Stiamo su una cima selvaggia, noi due,
stiamo abbandonati e rigidi,
aggrappati l'uno all'altra.
Senza lagrime, lamenti, parole:
Appena un tremito, e cadiamo.

Ci legano lacci di carne e sangue,
finché stiamo così avvinghiati:
Le nostre labbra, livide e tremanti.
Finché tu mi baci, non abbiamo parole:
Ma se dici una parola, cadiamo.

ENDRE ADY, TR. PAOLO SANTARCANGELI

I TUOI OCCHI CHIUDI

Chiudi i tuoi occhi, cara,
che il mondo non vi si specchi,
le cose ci sono troppo vicine,
quelle che non siamo noi.

Solo noi dobbiamo essere,
il mondo d'attorno è scomparso,
l'amore rivela
tutto. - I tuoi occhi chiudi.

PAR LAGERKVIST, TR. GIACOMO OREGLIA
Il mio amore s'è versato nel tuo martirio
ha forzato la morte
Viviamo nella resurrezione -

NELLY SACHS, TR. IDA PORENA

NERI...

NERI,
come la ferita del ricordo,
gli occhi ti cercano scavando
nel Kronland
che il cuore stringe coi denti,
poiché rimane il nostro letto:

questo cunicolo devi attraversare -
tu l'attraversi.

Nel senso
del seme
il mare ti copre di stelle,
nell'intimo, per sempre.

Il dare un nome ha una fine,
è su di te che io getto il mio destino.

PAUL CELAN, TR. GIUSEPPE BEVILACQUA