Quanto più si dirige nel vasto informe l’anima,
tanto più a te, lare anteriore, dal fondo
dell’emozione ritorna, o Cristo, e dorme
nelle braccia il cui amore è la consumazione del mondo.
FERNANDO ANTONIO NOGUEIRA PESSOA, TR. FRANCESCO ZAMBON
sabato 14 febbraio 2009
venerdì 13 febbraio 2009
Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zefiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensieri su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto corre
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco si strugge:
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
UGO FOSCOLO
Tu sei l’immago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zefiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensieri su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto corre
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco si strugge:
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
UGO FOSCOLO
giovedì 12 febbraio 2009
LE VOCI DEGLI UOMINI
Le voci degli uomini nel buio.
- una volta in un tempio -
le voci degli uomini nel sole
- una volta ero cariatide
numero nove -
le voci degli uomini nel parco
- ero una statua
nuda immobile
senz’altro specchio
che le dita dell’aria
dedita di pensiero in pensiero
senz’altra malinconia
che il mormorio delle foglie -
le voci degli uomini nel parco
perché m’hanno svegliata?
INGER CHRISTENSEN, TR. FULVIO FERRARI
- una volta in un tempio -
le voci degli uomini nel sole
- una volta ero cariatide
numero nove -
le voci degli uomini nel parco
- ero una statua
nuda immobile
senz’altro specchio
che le dita dell’aria
dedita di pensiero in pensiero
senz’altra malinconia
che il mormorio delle foglie -
le voci degli uomini nel parco
perché m’hanno svegliata?
INGER CHRISTENSEN, TR. FULVIO FERRARI
mercoledì 11 febbraio 2009
Quando la settima torre si sgretolò e scomparve
Compresero che ogni terra sarebbe diventata un deserto:
Ma non sarebbero rimasti a morire nella sabbia. Una stella,
Più grande del sole che da secoli si avvicinava,
Scivolava nella notte chiara a circondare l’orizzonte.
E benché non pregassero più, giacché la loro paura era
[morta
Stavano a gruppi sulle nude colline
E guardavano tra le colline come le ombre scivolavano via
Mentre la nota luccicante compiva il suo cammino.
Quando anche questo segno come una leggenda sparì,
Richiusero gli occhi sulle bianche superfici delle loro anime,
Ci trovarono un sorriso e portarono questo come una luce
Dietro la pelle secca dei loro visi. Così tardi conobbero
La caducità della loro fredda esistenza, lo svolazzare
[di una piuma
Fino al palmo della mano. Si stesero sulla sabbia calma,
Gioielli luccicanti su un letto bianco, brillante.
E morirono senza dirsi una parola, senza darsi l’addio,
[senza provare rimorso.
BEN CAMI, TR. JEAN ROBEAY
Compresero che ogni terra sarebbe diventata un deserto:
Ma non sarebbero rimasti a morire nella sabbia. Una stella,
Più grande del sole che da secoli si avvicinava,
Scivolava nella notte chiara a circondare l’orizzonte.
E benché non pregassero più, giacché la loro paura era
[morta
Stavano a gruppi sulle nude colline
E guardavano tra le colline come le ombre scivolavano via
Mentre la nota luccicante compiva il suo cammino.
Quando anche questo segno come una leggenda sparì,
Richiusero gli occhi sulle bianche superfici delle loro anime,
Ci trovarono un sorriso e portarono questo come una luce
Dietro la pelle secca dei loro visi. Così tardi conobbero
La caducità della loro fredda esistenza, lo svolazzare
[di una piuma
Fino al palmo della mano. Si stesero sulla sabbia calma,
Gioielli luccicanti su un letto bianco, brillante.
E morirono senza dirsi una parola, senza darsi l’addio,
[senza provare rimorso.
BEN CAMI, TR. JEAN ROBEAY
martedì 10 febbraio 2009
IL DONO
Tutti riceviamo un dono.
Poi, non ricordiamo più
né da chi né che sia.
Soltanto, ne conserviamo
- pungente e senza condono -
la piena della nostalgia.
GIORGIO CAPRONI
Poi, non ricordiamo più
né da chi né che sia.
Soltanto, ne conserviamo
- pungente e senza condono -
la piena della nostalgia.
GIORGIO CAPRONI
lunedì 9 febbraio 2009
domenica 8 febbraio 2009
PRIMA ECGLOGA
Quippe ubi fas versum atque nefas: tot bella
per urbem, tam multae scelerum facies…
Vergilius
Pastore:
E’ tanto tempo che non ti ho visto da queste
parti, ti ha tirato fuori all’aperto la voce
del rigogolo, finalmente?
Poeta:
Sto ascoltando, è così pieno di rumori il
Bosco, la primavera è ormai qui.
Pastore:
Questa non è ancora primavera, guarda il
cielo, guarda la pozzanghera:
adesso sorride teneramente ma, se la notte
il gelo lega il suo specchio
sogghigna - perché questo è aprile, non
credere mai al pazzo aprile -
si sono già gelati i piccoli tulipani.
Perché sei così triste? Non vuoi sederti qui,
sulla pietra?
Poeta:
Non sono neppure triste, mi sono
Abituato a questo terribile mondo,
tanto che qualche volta non mi fa neanche
male - mi nausea, soltanto,
Pastore:
Sento che - è vero? - sulle cime dei selvaggi
Pirenei, roventi
cannoni disputano tra i cadaveri congelati
nel loro sangue,
e gli orsi e i soldati fuggono insieme;
un esercito di donne, di bambini, di vecchi
coi fagotti legati corrono
e si gettano a terra quando su loro comincia
a volteggiare la morte e
tanti sono i morti che giacciono laggiù che
non c’è chi li porti via.
Tu conosci Federico, mi pare: dimmi, è
Fuggito?
Poeta:
Non è fuggito. Sono già due anni che lo
Hanno ucciso a Granada.
Pastore:
Garcia Lorca è morto? Nessuno ancora me
lo aveva detto, qui.
Le notizie della guerra corrono così veloci,
e così, in silenzio,
il poeta sparisce. Ma non si è vestita a lutto
per lui, l’Europa?
Poeta:
Non se ne sono neppure accorti. E’ già tanto
Se il vento, frugando fra le braci,
trova frammenti di versi nel rogo, e lo ricorda.
Tanto ne rimarrà per i curiosi eredi della
Sua opera.
Pastore:
Non è fuggito… E’ morto. E’ vero: dove
Potrebbe fuggire un poeta?
Non è fuggito neppure il caro Attila, ha solo
fatto cenno di NO
ostinato contro questo ordine, ma dimmi,
chi piange il suo annientamento?
E tu, come vivi? Avranno un’eco le tue parole
In questa epoca?
Poeta:
Tra il rombo dei cannoni? Tra le rovine
Bruciate, i villaggi abbandonati?
Ma io scrivo lo stesso, e vivo, in mezzo a
questo pazzo mondo, come
quella vecchia quercia vive laggiù; sa che la
taglieranno e sul suo corpo biancheggia,
inciso, un segno di croce per ricordare che
domani in quel punto l’estirperà
il boscaiolo - e aspetta, e intanto fa
germogliare una nuova foglia.
E buon per te che qui hai questa quiete, e
Raro è il lupo da queste parti,
spesso così dimentichi persino che è di un
altro il gregge che sorvegli
sono mesi che il padrone non viene qui a
vederti.
Il cielo ti benedica, scenderà su di me la
vecchia sera, prima che arrivi a casa:
già svola una farfalla del crepuscolo e
proietta l’argento delle sue ali…
MIKÓS RADNÓTI, TR. IT. MARINKA DALLOS E GIANNI TOTI
per urbem, tam multae scelerum facies…
Vergilius
Pastore:
E’ tanto tempo che non ti ho visto da queste
parti, ti ha tirato fuori all’aperto la voce
del rigogolo, finalmente?
Poeta:
Sto ascoltando, è così pieno di rumori il
Bosco, la primavera è ormai qui.
Pastore:
Questa non è ancora primavera, guarda il
cielo, guarda la pozzanghera:
adesso sorride teneramente ma, se la notte
il gelo lega il suo specchio
sogghigna - perché questo è aprile, non
credere mai al pazzo aprile -
si sono già gelati i piccoli tulipani.
Perché sei così triste? Non vuoi sederti qui,
sulla pietra?
Poeta:
Non sono neppure triste, mi sono
Abituato a questo terribile mondo,
tanto che qualche volta non mi fa neanche
male - mi nausea, soltanto,
Pastore:
Sento che - è vero? - sulle cime dei selvaggi
Pirenei, roventi
cannoni disputano tra i cadaveri congelati
nel loro sangue,
e gli orsi e i soldati fuggono insieme;
un esercito di donne, di bambini, di vecchi
coi fagotti legati corrono
e si gettano a terra quando su loro comincia
a volteggiare la morte e
tanti sono i morti che giacciono laggiù che
non c’è chi li porti via.
Tu conosci Federico, mi pare: dimmi, è
Fuggito?
Poeta:
Non è fuggito. Sono già due anni che lo
Hanno ucciso a Granada.
Pastore:
Garcia Lorca è morto? Nessuno ancora me
lo aveva detto, qui.
Le notizie della guerra corrono così veloci,
e così, in silenzio,
il poeta sparisce. Ma non si è vestita a lutto
per lui, l’Europa?
Poeta:
Non se ne sono neppure accorti. E’ già tanto
Se il vento, frugando fra le braci,
trova frammenti di versi nel rogo, e lo ricorda.
Tanto ne rimarrà per i curiosi eredi della
Sua opera.
Pastore:
Non è fuggito… E’ morto. E’ vero: dove
Potrebbe fuggire un poeta?
Non è fuggito neppure il caro Attila, ha solo
fatto cenno di NO
ostinato contro questo ordine, ma dimmi,
chi piange il suo annientamento?
E tu, come vivi? Avranno un’eco le tue parole
In questa epoca?
Poeta:
Tra il rombo dei cannoni? Tra le rovine
Bruciate, i villaggi abbandonati?
Ma io scrivo lo stesso, e vivo, in mezzo a
questo pazzo mondo, come
quella vecchia quercia vive laggiù; sa che la
taglieranno e sul suo corpo biancheggia,
inciso, un segno di croce per ricordare che
domani in quel punto l’estirperà
il boscaiolo - e aspetta, e intanto fa
germogliare una nuova foglia.
E buon per te che qui hai questa quiete, e
Raro è il lupo da queste parti,
spesso così dimentichi persino che è di un
altro il gregge che sorvegli
sono mesi che il padrone non viene qui a
vederti.
Il cielo ti benedica, scenderà su di me la
vecchia sera, prima che arrivi a casa:
già svola una farfalla del crepuscolo e
proietta l’argento delle sue ali…
MIKÓS RADNÓTI, TR. IT. MARINKA DALLOS E GIANNI TOTI
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