sabato 7 marzo 2009

Nel mio mestiere, ovvero arte scontrosa
Che nella quiete della notte esercito
Quando solo la luna effonde rabbia
E gli amanti si giacciono nel letto
Tenendo tra le braccia ogni dolore,
A una luce che canta mi affatico,
e non per ambizione, non per pane,
Né per superbia o traffico di grazie
Su qualche palcoscenico d’avorio,
Ma solo per la paga consueta
Del loro sentimento più scontroso.

Non è per il superbo che si apparta
Dalla luna infuriata che io scrivo
Su questa spruzzaglia di pagine,
E non per i defunti che torreggiano
Con i loro usignoli e i loro salmi,
Ma solo per gli amanti che trattengono
Fra le braccia i dolori delle età,
E non offronolodi né compensi,
Indifferenti al mio mestiere o arte.

DYLAN THOMAS, TR. ROBERTO SANESI

venerdì 6 marzo 2009

Sarajevo sarà, anche se non lo sarà, quella che è
Sempre stata

Il bicchiere rotto
non esiste più
quello che è stato non può più essere

ma
il bicchiere
che noi ricordiamo
non si può mai rompere

OSIP OSTI, TR. STEFANO DE BARTOLO

giovedì 5 marzo 2009

Come lo conosco bene questo sentiero,
questa casa tanto bassa.

Ho avuto anni pieni di sventure,
quindi anni di irragionevole fuoco.
E sempre mi ricordavo del tempo trascorso al villaggio
della mia campagna celeste.

Non ho cercato riposo né gloria,
così provvisorio è il loro rifugio.
Per questo, quando gli occhi mi si chiudono,
non vedo altro che il focolare di una volta

e il mio giardino a macchie azzurre
e l’agosto silenzioso appoggiato alla siepe.
I tigli custodiscono tra le braccia verdi e vellutate
il canto e il lamento degli uccelli.

Quanto lo amavo questo casolare di legno,
nelle sue travi era come se dormisse una forza minacciosa
mentre la stufa con voce selvaggia e bizzarra
urlava nelle notti di pioggia.

…………………..

Ma il sogno dolcissimo è morto
tutto svanisce in una nebbia azzurra.
Pace su te, nebbia dei miei campi,
pace su te, povero casolare di legno!

SERGEJ ALEKSANDROVIČ ESENIN, TR. CURZIA FERRARI.

mercoledì 4 marzo 2009

Trentacinque anni: forse sono sceso alla fine
del cammino. In famiglia la morte è tradizione
accettata: nessuno ho visto
tener testa all’ora egoista
né alla trappola scura che aspetta lì dietro.
Il dado logoro che ho tenuto, le allucinazioni
che ho inseguito non mi hanno mai strappato
da me stesso: ho sostato e qui atteso -
ben sapendo
che l’humus desiderato
non si sarebbe formato.

ENIS BATUR, TR. IŞIL SAATÇIOĞLU
Trentacinque anni: forse sono sceso alla fine
del cammino. In famiglia la morte è tradizione
accettata: nessuno ho visto
tener testa all’ora egoista
né alla trappola scura che aspetta lì dietro.
Il dado logoro che ho tenuto, le allucinazioni
che ho inseguito non mi hanno mai strappato
da me stesso: ho sostato e qui atteso -
ben sapendo
che l’humus desiderato
non si sarebbe formato.

ENIS BATUR, TR. IŞIL SAATÇIOĞLU

martedì 3 marzo 2009

PASSERO SOLITARIO

D’in sulla vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
campagna vai finché non more il giorno;
ed era l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
brilla nell’aria, . e per li campi esulta,
sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti:
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il tempo migliore:
tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
canti e così trapassi
dell’anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
della novella età dolce famiglia,
e te german di giovinezza, amore,
sospiro acerbo de’ provetti giorni,
non curo, io non so come; anzi da koro
quasi fuggo lontano;
quasi romito, e strano
al mio loco natio,
passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’ormai cede alla sera,
festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
odi spesso un tonar di ferree canne,
che rimbomba lontan, di villa in villa.
Tutta vestita a festa
la gioventù del loco
lascia le case, e per le vie si spande;
e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
rimota parte della campagna uscendo,
ogni diletto e gioco
indugio in altro tempo: e intanto il guardo
steso nell’aria aprica
mi fere il Sol che tra lontani monti,
dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua, e par che dica
che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; che di natura è frutto
ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
la detestata soglia
evitar non impetro,
quando muti questi occhi all’altrui core,
e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
del dì presente più noioso e tetro,
che parrà di tal voglia?
che di quest’anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
ma sconsolato, volgerommi indietro.

GIACOMO LEOPARDI

lunedì 2 marzo 2009

Nell’agonia divoratrice
di quest’avventura d’esser solo,
nuvola che passi,
inutilmente cerco
il convivio della tua ombra.
Tacciono perfino nel ricordo
il vento e le fonti.
Le strade non conducono
da nessun luogo in nessun luogo.
Si è fermato il sole.
Si è svuotato lo spazio.
Solo tu,
sotterraneamente,
in me svolazzi, speranza,
mio uccello viscerale.

ARMINDO RODRIGUES, TR. GIUSEPPE TAVANI

domenica 1 marzo 2009

Il pleure dans mon cœur
Comme il pleut sur la ville;
Quelle est cette langueur
Qui pénétre mon cœur ?

Ô vbruit doux de la pluit
par terre et sur les toits !
Pour un cœur qui s’ennuie
Ô le chant de la pluie !

Il pleure sans raison
Dans ce cœur qui s’écœure.
Quoi ! nulle trahison ? …
Ce deuil est sans raison.

C’est bien la pire peine
De ne savoir puorquoi
Sans amour et sans haine
Mon cœur a tant peine !
PAUL VERLAINE