Un sentire due mondi
Un amore due fedeltà
Tra continente e continente
Indugia la nostalgia dell'oceano
Due città un vuot
Due indirizzi una mancanza
Tra i cocchi e la neve
Si stende la noncuranza del fine
Potesse l'amore ritrovare la strada
Alla porta che s'è aperta all'alba
Verso là dove il vento si rechi
Amore, possa tu
Trovare il pieno sentire dentro di me
Senza una frattura tra due mondi, oblio
sul bordo dell'oceano
SITOR SITUMORANG, TR. GIULIO SORAVIA
sabato 23 febbraio 2008
IMPASSE
le due ombre nel buio della stanza
forse non giungeranno a un incontro
il vetro blu della finestra attende
e la notte terminerà lì
blu e oscuro di soffoco
si aggrappano a tutto ciò che possano compiere
si cercano ancora?
anche questo non lo sapremo
TOETY HERATY, TR. GIULIO SORAVIA
forse non giungeranno a un incontro
il vetro blu della finestra attende
e la notte terminerà lì
blu e oscuro di soffoco
si aggrappano a tutto ciò che possano compiere
si cercano ancora?
anche questo non lo sapremo
TOETY HERATY, TR. GIULIO SORAVIA
Non s’invoca più la musa,
obliata è la lira,
più nessun poeta l’usa;
pur la gioventù illusa
ad altre cose s’ispira.
Oggi se alla fantasia
chiedono che versi dia,
non s’invoca l’Elicona,
al garçon solo si chiede
di caffè una tazza bona.
Invece dell’estro puro
che il cuore commoveva,
si scrive una poesia
con penna d’acciaio duro,
una burla e un’ironia.
Musa, che in età passata
m’ispirasti affettuosa
canti d’amor, va e riposa;
oggi voglio una spada,
fiumi d’oro ed acre prosa.
Son costretto a ragionare,
meditare e combattere,
qualche volta anche piangere,
ché chi molto vuole amare
molto deve anche soffrire.
I giorni quieti fuggirono,
giorni di gioiosi amori,
quando bastavano i fiori
per consolare un’alma
delle pene e dei dolori.
Van fuggendo poco a poco
quanti amai da parte mia:
quello morto, uno sposato,
perché segna quanto tocco
con la sfortuna il fato.
Fuggi anche tu, musa! Vai,
cerca migliore regione,
che la patria ti promette
per alloro, le catene
e per tempio, la prigione.
Che se è infame ed empio
alterar la verità,
non sarebbe un mio delirio
trattenerti al fianco mio
priva della libertà?
Perché cantar, quando chiama
a serio impegno il destino,
quando la tempesta infuria,
quando i suoi figli reclama
il paese filippino?
Perché cantar, se il mio canto
deve sembrare un pianto
che nessun commuoverà?
E se dell’altrui lamento
beffe il mondo si farà?
Perché, quando tra la gente
che mi critica e maltratta,
secca l’alma o l’occhio pio,
non c’è mai un cuor che batta
con i battiti del mio?
Lascia dormir, sulla cima
dell’oblio, quanto sento:
lì, sta bene! Ché il sospiro
non lo mischi con la rima
ed evapori col vento.
Come dormono nei mari,
tutti i mostri dell’abisso,
dormir lascia le mie pene,
i capricci ed i miei canti
seppelliti entro me stesso.
Io so ben che i tuoi favori
solo usi prodigare
nella bell’età dei fiori
quella dei primi amori,
senza nubi né dolori.
Molti anni son passati
dopo che con bacio ardente
abbracciasti la mia fronte…
Or quel bacio s’è freddato
e l’ho ormai dimenticato.
Ma già prima di partire
dì che al tuo accento sublime
sempre ha risposto in me
un lamento per chi geme
e una sfida per chi opprime.
Ma tu verrai, ispirazione sacra,
di nuovo a riscaldar la fantasia,
quando triste la fé, rotta la spada
morir non possa per la patria mia;
la cetra mi darai vestita a lutto
con le corde intonate all’elegia,
per addolcir della patria le pene
e il rumore smorzar delle catene.
Ma se il tempo con l’alloro corona
i nostri sforzi, e la mia patria unita
sorge, regina, dall’ardente zona,
bianca perla dal fango restituita,
allora torna e con vigore intona
l’inno sacrato della nuova vita,
perché noi tutti in coro canteremo
anche se nel sepolcro giaceremo.
JOSE' RIZAL
_________________
obliata è la lira,
più nessun poeta l’usa;
pur la gioventù illusa
ad altre cose s’ispira.
Oggi se alla fantasia
chiedono che versi dia,
non s’invoca l’Elicona,
al garçon solo si chiede
di caffè una tazza bona.
Invece dell’estro puro
che il cuore commoveva,
si scrive una poesia
con penna d’acciaio duro,
una burla e un’ironia.
Musa, che in età passata
m’ispirasti affettuosa
canti d’amor, va e riposa;
oggi voglio una spada,
fiumi d’oro ed acre prosa.
Son costretto a ragionare,
meditare e combattere,
qualche volta anche piangere,
ché chi molto vuole amare
molto deve anche soffrire.
I giorni quieti fuggirono,
giorni di gioiosi amori,
quando bastavano i fiori
per consolare un’alma
delle pene e dei dolori.
Van fuggendo poco a poco
quanti amai da parte mia:
quello morto, uno sposato,
perché segna quanto tocco
con la sfortuna il fato.
Fuggi anche tu, musa! Vai,
cerca migliore regione,
che la patria ti promette
per alloro, le catene
e per tempio, la prigione.
Che se è infame ed empio
alterar la verità,
non sarebbe un mio delirio
trattenerti al fianco mio
priva della libertà?
Perché cantar, quando chiama
a serio impegno il destino,
quando la tempesta infuria,
quando i suoi figli reclama
il paese filippino?
Perché cantar, se il mio canto
deve sembrare un pianto
che nessun commuoverà?
E se dell’altrui lamento
beffe il mondo si farà?
Perché, quando tra la gente
che mi critica e maltratta,
secca l’alma o l’occhio pio,
non c’è mai un cuor che batta
con i battiti del mio?
Lascia dormir, sulla cima
dell’oblio, quanto sento:
lì, sta bene! Ché il sospiro
non lo mischi con la rima
ed evapori col vento.
Come dormono nei mari,
tutti i mostri dell’abisso,
dormir lascia le mie pene,
i capricci ed i miei canti
seppelliti entro me stesso.
Io so ben che i tuoi favori
solo usi prodigare
nella bell’età dei fiori
quella dei primi amori,
senza nubi né dolori.
Molti anni son passati
dopo che con bacio ardente
abbracciasti la mia fronte…
Or quel bacio s’è freddato
e l’ho ormai dimenticato.
Ma già prima di partire
dì che al tuo accento sublime
sempre ha risposto in me
un lamento per chi geme
e una sfida per chi opprime.
Ma tu verrai, ispirazione sacra,
di nuovo a riscaldar la fantasia,
quando triste la fé, rotta la spada
morir non possa per la patria mia;
la cetra mi darai vestita a lutto
con le corde intonate all’elegia,
per addolcir della patria le pene
e il rumore smorzar delle catene.
Ma se il tempo con l’alloro corona
i nostri sforzi, e la mia patria unita
sorge, regina, dall’ardente zona,
bianca perla dal fango restituita,
allora torna e con vigore intona
l’inno sacrato della nuova vita,
perché noi tutti in coro canteremo
anche se nel sepolcro giaceremo.
JOSE' RIZAL
_________________
QUANDO MI CHIUDI GLI OCCHI
Quando mi chiudi gli occhi
con la tua mano gentile
tutto diviene soltanto luce attorno a me
come in un paese assolato.
Tu vuoi immergermi nel crepuscolo,
ma tutto diviene luce!
Tu non puoi donarmi
che luce, soltanto luce.
(PAR LAGERKVIST, TR. IT. GIACOMO OREGLIA).
con la tua mano gentile
tutto diviene soltanto luce attorno a me
come in un paese assolato.
Tu vuoi immergermi nel crepuscolo,
ma tutto diviene luce!
Tu non puoi donarmi
che luce, soltanto luce.
(PAR LAGERKVIST, TR. IT. GIACOMO OREGLIA).
INSIEME NOI
Come sei pura di sole e di notte caduta,
che trionfale dismisura la tua orbita di bianco,
e il tuo seno di pane, alto di clima,
la tua corona d'alberi neri, beneamata,
e il tuo naso di animale solitario, di pecora sekvatica
che odora d'ombra e di precipitosa fuga tirannica.
Ora, che armi splendide le mie mani,
degna la loro pala d'osso e il loro giglio di unghie,
e il luogo del mio volto, e il nolo della mia anima
son posti nel giusto della forza terrestre.
Che puro il mio sguardo di notturna influenza,
caduta d'occhi oscuri e di feroce pungolo,
la mia simmetrica statua dalle gambe gemelle
sale verso stelle umide ogni giorno,
e la mia bocca d'esilio morde la statua e l'uva,
mie braccia di maschio, il mio petto tatuato
in cui penetra il vello come ala di stagno,
il mio volto bianco fatto per la profondità del sole,
la mia chioma fatta di riti, di minerali neri,
la mia fronte, penetrante come colpo o strada,
la mia pelle di figlio maturo, destinato all'aratro,
i miei occhi di sale avido, di matrimonio rapido,
la mia lingua molle amica della diga e della nave,
i miei denti d'orario bianco, d'equità sistematica,
la pelle che fa alla mia fronte un vuoto di ghiacci
e sulla mia schiena si volge, e vola alle mie palpebre,
e si ripiega sul mio piùprofondo stimolo,
e cresce verso le rose nelle mie dita,
nel mio mento d'osso e nei miei piedi di ricchezza.
E tu come un mese di stella, come un bacio fisso,
come struttura d'ala, o inizi d'autunno,
bimnba, partigiana mia, amorosa mia,
la luce fa il suo letto sotto le tue grandi palpebre,
dorate come buoi, e la colomba rotonda
fa i suoi nidi bianchi frequentemente in te.
Fatta di onda in lingotti e di tenaglie bianche,
la tua salute di mela furiosa si allunga senza limite,
la botte tremante in cui ode il tuo stomaco,
le tue mani figli della farina e del cielo.
Come sei simile al più lungo bacio,
la sua scossa fissa sembra nutrirti,
e il suo impulso di bragia, dibandiera sonvolta,
va palpitando nei tuoi domini e salendo tremante,
e allora la tua testa si assottiglia in capelli,
e la sua forma guerriera, il suo circolo secco,
s'abbatte d'improvviso in fili lineari
come fili di spada o eredità di fumo.
(PABLO NERUDA, TR. IT. GIUSEPPE BELLINI).
che trionfale dismisura la tua orbita di bianco,
e il tuo seno di pane, alto di clima,
la tua corona d'alberi neri, beneamata,
e il tuo naso di animale solitario, di pecora sekvatica
che odora d'ombra e di precipitosa fuga tirannica.
Ora, che armi splendide le mie mani,
degna la loro pala d'osso e il loro giglio di unghie,
e il luogo del mio volto, e il nolo della mia anima
son posti nel giusto della forza terrestre.
Che puro il mio sguardo di notturna influenza,
caduta d'occhi oscuri e di feroce pungolo,
la mia simmetrica statua dalle gambe gemelle
sale verso stelle umide ogni giorno,
e la mia bocca d'esilio morde la statua e l'uva,
mie braccia di maschio, il mio petto tatuato
in cui penetra il vello come ala di stagno,
il mio volto bianco fatto per la profondità del sole,
la mia chioma fatta di riti, di minerali neri,
la mia fronte, penetrante come colpo o strada,
la mia pelle di figlio maturo, destinato all'aratro,
i miei occhi di sale avido, di matrimonio rapido,
la mia lingua molle amica della diga e della nave,
i miei denti d'orario bianco, d'equità sistematica,
la pelle che fa alla mia fronte un vuoto di ghiacci
e sulla mia schiena si volge, e vola alle mie palpebre,
e si ripiega sul mio piùprofondo stimolo,
e cresce verso le rose nelle mie dita,
nel mio mento d'osso e nei miei piedi di ricchezza.
E tu come un mese di stella, come un bacio fisso,
come struttura d'ala, o inizi d'autunno,
bimnba, partigiana mia, amorosa mia,
la luce fa il suo letto sotto le tue grandi palpebre,
dorate come buoi, e la colomba rotonda
fa i suoi nidi bianchi frequentemente in te.
Fatta di onda in lingotti e di tenaglie bianche,
la tua salute di mela furiosa si allunga senza limite,
la botte tremante in cui ode il tuo stomaco,
le tue mani figli della farina e del cielo.
Come sei simile al più lungo bacio,
la sua scossa fissa sembra nutrirti,
e il suo impulso di bragia, dibandiera sonvolta,
va palpitando nei tuoi domini e salendo tremante,
e allora la tua testa si assottiglia in capelli,
e la sua forma guerriera, il suo circolo secco,
s'abbatte d'improvviso in fili lineari
come fili di spada o eredità di fumo.
(PABLO NERUDA, TR. IT. GIUSEPPE BELLINI).
MA NON INVANO
Fa più freddo,
piante avvizzite cadono nel vento,
sì, la voglio sentire,
la voce dell’ombra, tremante,
strepitante di collera, senza coraggio/coraggiosa,
dallo sfinimento cade all’ingiù,
lei chiama, riposa in quanto è promesso?
"Chi potrebbe proibirci la gioia",
lei nomina quel che verrà,
la rovina del presente.
ALFRED KOLLERITSCH, TR. RICCARDO NOVELLO
piante avvizzite cadono nel vento,
sì, la voglio sentire,
la voce dell’ombra, tremante,
strepitante di collera, senza coraggio/coraggiosa,
dallo sfinimento cade all’ingiù,
lei chiama, riposa in quanto è promesso?
"Chi potrebbe proibirci la gioia",
lei nomina quel che verrà,
la rovina del presente.
ALFRED KOLLERITSCH, TR. RICCARDO NOVELLO
IL PARCO
Due giovani si amano sembra
in fondo a un'ombra del parco.
Si baciano e stringono, eguali
nelle vesti forse nel sesso.
Più eguali nel non sapere.
Non vedono, non sanno? Oh essi
vedono e sanno, anche l'ultimo
amore è amore, almeno
questo lo sai. E lo spreco
della sera avvelenata,
l'erba lurida, qualcuno
che batte lontano un bastone ai cancelli...
Ecco tutto. E qualche nebbia
dove le anatre s'acquetano
e i pesci neri. [...
.........................]
Vogliono
il loro bene e anche il male,
la consumazione del sangue
e questa l'avranno.
Si alzano. L'erba sporcata
li guarda passare pazienti.
Tu che ci abiti tutti in profondo,
fratello simile aognuno,
immagine tu del possibile,
tocca un attimo la nostra cecità:
che provino orrore del mondo
e così gioia vera.
(FRANCO FORTINI)
in fondo a un'ombra del parco.
Si baciano e stringono, eguali
nelle vesti forse nel sesso.
Più eguali nel non sapere.
Non vedono, non sanno? Oh essi
vedono e sanno, anche l'ultimo
amore è amore, almeno
questo lo sai. E lo spreco
della sera avvelenata,
l'erba lurida, qualcuno
che batte lontano un bastone ai cancelli...
Ecco tutto. E qualche nebbia
dove le anatre s'acquetano
e i pesci neri. [...
.........................]
Vogliono
il loro bene e anche il male,
la consumazione del sangue
e questa l'avranno.
Si alzano. L'erba sporcata
li guarda passare pazienti.
Tu che ci abiti tutti in profondo,
fratello simile aognuno,
immagine tu del possibile,
tocca un attimo la nostra cecità:
che provino orrore del mondo
e così gioia vera.
(FRANCO FORTINI)
L'ABBRACCIO
Quando ci siamo intravisti, l'aria fra noi
ha gettato d'un tratto
la sua immagine degli alberi, indifferenti e vuoti,
da cui si lasciava attraversare.
Oh, ci siamo lanciati, chiamandoci per nome,
l'uno verso l'altro, e così velocemente,
che il tempo si è schiacciato tra i nostri petti,
e l'ora, colpita, si è frantumata in minuti.
Avrei voluto conservarti tra le mie braccia
così come tengo il corpo dell'infanzia, nel passato,
con le sue morti irripetibili.
E avrei voluto abbracciarti con le costole.
(NIKITA STANESCU, TR. FULVIO DEL FABBRO e ALESSIA TONDINI)
ha gettato d'un tratto
la sua immagine degli alberi, indifferenti e vuoti,
da cui si lasciava attraversare.
Oh, ci siamo lanciati, chiamandoci per nome,
l'uno verso l'altro, e così velocemente,
che il tempo si è schiacciato tra i nostri petti,
e l'ora, colpita, si è frantumata in minuti.
Avrei voluto conservarti tra le mie braccia
così come tengo il corpo dell'infanzia, nel passato,
con le sue morti irripetibili.
E avrei voluto abbracciarti con le costole.
(NIKITA STANESCU, TR. FULVIO DEL FABBRO e ALESSIA TONDINI)
PRIMAVERA
Tutti qui
la rondine la serpe
il bruco la foglia la farfalla
tutti oggi qui vogliono essere.
Ma noi che siamo
come siamo stanchi d'essere.
FERDINANDO TARTAGLIA
la rondine la serpe
il bruco la foglia la farfalla
tutti oggi qui vogliono essere.
Ma noi che siamo
come siamo stanchi d'essere.
FERDINANDO TARTAGLIA
PIOGGIA
Qualcuno, chicchi di grano a manciate
lancia sul tetto rumorosamente,
vi si buttano sù galli affamati,
beccano all'impazzata:
sui chini tetti dove il muschio alligna
negli oscuri cortili
batte in tumulto e scroscia, rovinando
nel gran buio la pioggia.
Chicchi pesanti cadono e da essi
spighe s'innalzano su lunghi steli
da terra fino all'alto e grigio cielo
e vi spuntano in mezzo
somiglianti a diabolica e funesta
fungaia, numerosi
sulle pozzanghere di sporca pioggia
ombrelli tenebrosi.
Tutta la notte crepita la pioggia
riversandosi sopra i tetti
ed i famelici gallli maligni
tutta la notte beccano.
Al mattino però riecco il sole
innanzi a nostre porte
come un enorme giallo girasole
saccheggiato dei semi.
ATANAS DALCEV, TR. LUIGI REHO
lancia sul tetto rumorosamente,
vi si buttano sù galli affamati,
beccano all'impazzata:
sui chini tetti dove il muschio alligna
negli oscuri cortili
batte in tumulto e scroscia, rovinando
nel gran buio la pioggia.
Chicchi pesanti cadono e da essi
spighe s'innalzano su lunghi steli
da terra fino all'alto e grigio cielo
e vi spuntano in mezzo
somiglianti a diabolica e funesta
fungaia, numerosi
sulle pozzanghere di sporca pioggia
ombrelli tenebrosi.
Tutta la notte crepita la pioggia
riversandosi sopra i tetti
ed i famelici gallli maligni
tutta la notte beccano.
Al mattino però riecco il sole
innanzi a nostre porte
come un enorme giallo girasole
saccheggiato dei semi.
ATANAS DALCEV, TR. LUIGI REHO
venerdì 22 febbraio 2008
COMPOSTO SUL MONTE SHIGA
La candida neve
ammanta ovunque
il paesaggio,
sicché vedo il fiore
sbocciare anche sulle rocce.
KI NO AKIMINE, TR. IKUKO SAGIYAMA
ammanta ovunque
il paesaggio,
sicché vedo il fiore
sbocciare anche sulle rocce.
KI NO AKIMINE, TR. IKUKO SAGIYAMA
TU FORTE NOTTE
Tu forte notte. Non giunge al tuo volto
vampa di labbra o di nuvole d'ombra.
Nei bui giorni del sonno t'ascolto
e risplendi come aurora che sorga.
Sei la notte. Giacendo nel tuo letto
seppi la sorte e il male futuro.
Scansato dal borgo, la fama a lato
e la musica come vetro schiacciato.
Forti i nemici e angusta la terra
e tu, o amata, fedele a lei rimani.
Ramoscello di sambuco sull'acqua
spinto dal vento da ignoti pantani.
Saggezza immensa, bontà non di donna
nelle tue fragili mani, o Mortale.
In fronte il chiarore del sapere:
plenilunio nascosto, non sbocciato.
CZALAW MILOSZ, TR. PIETRO MARCHESANI
vampa di labbra o di nuvole d'ombra.
Nei bui giorni del sonno t'ascolto
e risplendi come aurora che sorga.
Sei la notte. Giacendo nel tuo letto
seppi la sorte e il male futuro.
Scansato dal borgo, la fama a lato
e la musica come vetro schiacciato.
Forti i nemici e angusta la terra
e tu, o amata, fedele a lei rimani.
Ramoscello di sambuco sull'acqua
spinto dal vento da ignoti pantani.
Saggezza immensa, bontà non di donna
nelle tue fragili mani, o Mortale.
In fronte il chiarore del sapere:
plenilunio nascosto, non sbocciato.
CZALAW MILOSZ, TR. PIETRO MARCHESANI
giovedì 21 febbraio 2008
DELIRIUM
La neve nera, che cola dai tetti;
un dito rosso affonda nella tua fronte
stanze spoglie calano azzurra neve,
che sono specchi perduti di amanti.
In grevi schegge si spezza il capo e medita
sulle ombre nello specchio di nevai azzurri,
sul sorriso freddo di una sgualdrina morta.
Tra zzi di garofani piange il vento serale.
GEORGE TRAKL, TR. CLAUDIO GROFF
un dito rosso affonda nella tua fronte
stanze spoglie calano azzurra neve,
che sono specchi perduti di amanti.
In grevi schegge si spezza il capo e medita
sulle ombre nello specchio di nevai azzurri,
sul sorriso freddo di una sgualdrina morta.
Tra zzi di garofani piange il vento serale.
GEORGE TRAKL, TR. CLAUDIO GROFF
mercoledì 20 febbraio 2008
LA PIOGGIA SOLLEVA LA TERRA
LA PIOGGIA SOLLEVA LA TERRA
nel cielo
le è proprio un profumo di chiaro
simile alle finestre di carta
attraverso le quali con i nasi
si vede e si vede
il pascolo si alza
i pascoli gli orizzonti
boscosi di colline
la fattoria la lettera
il passante dal cappello verde.
HANS CARL ARTMANN, tr. LUIGI REITANI
nel cielo
le è proprio un profumo di chiaro
simile alle finestre di carta
attraverso le quali con i nasi
si vede e si vede
il pascolo si alza
i pascoli gli orizzonti
boscosi di colline
la fattoria la lettera
il passante dal cappello verde.
HANS CARL ARTMANN, tr. LUIGI REITANI
O NOTTE
Dell'ampia ansia dell'alba
Svelata alberatura
Dolorosi risvegli.
Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.
Autunni
Moribonde dolcezze.
O gioventù
Passata è appena l'ora del distacco.
Cieli alti della gioventù
Libero slancio.
E già sono deserto.
Perso in questa curva malinconica
Ma la notte sperde le lontananze
Oceanici silenzi,
Astrali nidi d'illusione,
O notte.
GIUSEPPE UNGARETTI
Svelata alberatura
Dolorosi risvegli.
Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.
Autunni
Moribonde dolcezze.
O gioventù
Passata è appena l'ora del distacco.
Cieli alti della gioventù
Libero slancio.
E già sono deserto.
Perso in questa curva malinconica
Ma la notte sperde le lontananze
Oceanici silenzi,
Astrali nidi d'illusione,
O notte.
GIUSEPPE UNGARETTI
martedì 19 febbraio 2008
CANZONI IV° (ARCAICO CUORE)
Tu che sei come una casa
fatta d'argilla:
Piccola, fragile,
di quattro stanze;
Tu che ti riempi di fantasmi,
e che ti spaventi,
che piangi,
quando viene la notte;
Tu che nel buio
ti fai a pezzi
come un salvadanaio
scagliato a terra;
Tu, arcaico cuore,
guarda alla finestra,
guarda verso quel bosco
che già rinverdisce.
Tu che una volta caduto
gridi parole
in una lingua
che io non comprendo,
E dici Der Tod
Ist ein Meister
Und du, Zur Linken,
Des menschen Sinn;
Che dici Helian,
Einsamen Helian,
Abends grauen
flammendes;
Tu, arcaico cuore,
entra in questo bosco:
è sorto dall'argilla,
come te.
BERNARDO ATXAGA, TR. EMILIO COCO
fatta d'argilla:
Piccola, fragile,
di quattro stanze;
Tu che ti riempi di fantasmi,
e che ti spaventi,
che piangi,
quando viene la notte;
Tu che nel buio
ti fai a pezzi
come un salvadanaio
scagliato a terra;
Tu, arcaico cuore,
guarda alla finestra,
guarda verso quel bosco
che già rinverdisce.
Tu che una volta caduto
gridi parole
in una lingua
che io non comprendo,
E dici Der Tod
Ist ein Meister
Und du, Zur Linken,
Des menschen Sinn;
Che dici Helian,
Einsamen Helian,
Abends grauen
flammendes;
Tu, arcaico cuore,
entra in questo bosco:
è sorto dall'argilla,
come te.
BERNARDO ATXAGA, TR. EMILIO COCO
IL NULLA, IL TUTTO, II°
Sia per te la grande neve il tutto, il nulla,
Bambino dai primi passi incerti nell'erba,
Gli occhi ancora pieni nell'origine,
Le mani aggrappate solo alla luce.
Siano per te quei rami che scintillano la parola
Che devi ascoltare, ma senza capire
Il senso del loro stagliarsi contro il cielo,
O non nominerai che a prezzo di perdere.
Ti bastino i tuoi valori, l'uno brillante,
Della collina nell'incavo degli alberi,
Ape della vita, quando giungerà ad inaridirsi
Nel tuo sogno di mondo questo stesso mondo.
E che l'acqua che scorre nel prato
Ti mostri che la gioia può sopravvivere al sogno
Quando la brezza venuta non si sa da dove già sperde
I fiori del mandorlo, tuttavia l'altra neve.
YVES BONNEFOY, TR. DAVIDE BRACAGLIA
Bambino dai primi passi incerti nell'erba,
Gli occhi ancora pieni nell'origine,
Le mani aggrappate solo alla luce.
Siano per te quei rami che scintillano la parola
Che devi ascoltare, ma senza capire
Il senso del loro stagliarsi contro il cielo,
O non nominerai che a prezzo di perdere.
Ti bastino i tuoi valori, l'uno brillante,
Della collina nell'incavo degli alberi,
Ape della vita, quando giungerà ad inaridirsi
Nel tuo sogno di mondo questo stesso mondo.
E che l'acqua che scorre nel prato
Ti mostri che la gioia può sopravvivere al sogno
Quando la brezza venuta non si sa da dove già sperde
I fiori del mandorlo, tuttavia l'altra neve.
YVES BONNEFOY, TR. DAVIDE BRACAGLIA
lunedì 18 febbraio 2008
AUTUNNO
Il sole, in ronde chiare,
il sole dissotterra,
risuscita la mia
vita morta.
- Che odore triste! -
E la leva in alto
- come mi rivedo a lungo! -
in spirali di oro,
fra le tranquille foglie gialle, verso
una musica immensa
come un incendio di pena infinita.
JUAN RAMON JIMENEZ, TR. FRANCESCO TENTORI MONTALTO
il sole dissotterra,
risuscita la mia
vita morta.
- Che odore triste! -
E la leva in alto
- come mi rivedo a lungo! -
in spirali di oro,
fra le tranquille foglie gialle, verso
una musica immensa
come un incendio di pena infinita.
JUAN RAMON JIMENEZ, TR. FRANCESCO TENTORI MONTALTO
INVERNO
L'inverno s'ode vibrare nella sera,
silenzioso nelle gocce di pioggia
sui lampioni affumicati;
sull'asfalto delle strade, dove l'ultima
macchina notturna sfreccia quasi on paura.
E il vento urla sulle soglie,
scompiglia le tendine della finestra,
dove la solita fanciulla
s'accanisce a ritrovare
la luna inesistente.
RODOLFO DIBIASIO
silenzioso nelle gocce di pioggia
sui lampioni affumicati;
sull'asfalto delle strade, dove l'ultima
macchina notturna sfreccia quasi on paura.
E il vento urla sulle soglie,
scompiglia le tendine della finestra,
dove la solita fanciulla
s'accanisce a ritrovare
la luna inesistente.
RODOLFO DIBIASIO
domenica 17 febbraio 2008
Oggi che porto nel cuore le mieterre
e mi basta guardarle per vederle crescere
sento il vostro richiamo, prati di tenera età,
e la vostra parola, alberi di cent'anni,
e inutilmente cerco nella sera
Né il volo dei gorgheggi né il canto dei rami
Debbono rompere il duro silenzio della bocca.
Se restassi immoto come questa buona quercia,
verrebbero i vostri uccelli a far nidi sulla mia fronte
e ancora vedrei nel mio calore intatto,
chissà se addormentata, la Spagna che ho lasciato.
PEDRO GORREIAS, TR. IGNAZIO DELOGU
e mi basta guardarle per vederle crescere
sento il vostro richiamo, prati di tenera età,
e la vostra parola, alberi di cent'anni,
e inutilmente cerco nella sera
Né il volo dei gorgheggi né il canto dei rami
Debbono rompere il duro silenzio della bocca.
Se restassi immoto come questa buona quercia,
verrebbero i vostri uccelli a far nidi sulla mia fronte
e ancora vedrei nel mio calore intatto,
chissà se addormentata, la Spagna che ho lasciato.
PEDRO GORREIAS, TR. IGNAZIO DELOGU
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