sabato 23 febbraio 2008

Non s’invoca più la musa,
obliata è la lira,
più nessun poeta l’usa;
pur la gioventù illusa
ad altre cose s’ispira.

Oggi se alla fantasia
chiedono che versi dia,
non s’invoca l’Elicona,
al garçon solo si chiede
di caffè una tazza bona.

Invece dell’estro puro
che il cuore commoveva,
si scrive una poesia
con penna d’acciaio duro,
una burla e un’ironia.

Musa, che in età passata
m’ispirasti affettuosa
canti d’amor, va e riposa;
oggi voglio una spada,
fiumi d’oro ed acre prosa.

Son costretto a ragionare,
meditare e combattere,
qualche volta anche piangere,
ché chi molto vuole amare
molto deve anche soffrire.

I giorni quieti fuggirono,
giorni di gioiosi amori,
quando bastavano i fiori
per consolare un’alma
delle pene e dei dolori.

Van fuggendo poco a poco
quanti amai da parte mia:
quello morto, uno sposato,
perché segna quanto tocco
con la sfortuna il fato.

Fuggi anche tu, musa! Vai,
cerca migliore regione,
che la patria ti promette
per alloro, le catene
e per tempio, la prigione.

Che se è infame ed empio
alterar la verità,
non sarebbe un mio delirio
trattenerti al fianco mio
priva della libertà?

Perché cantar, quando chiama
a serio impegno il destino,
quando la tempesta infuria,
quando i suoi figli reclama
il paese filippino?

Perché cantar, se il mio canto
deve sembrare un pianto
che nessun commuoverà?
E se dell’altrui lamento
beffe il mondo si farà?

Perché, quando tra la gente
che mi critica e maltratta,
secca l’alma o l’occhio pio,
non c’è mai un cuor che batta
con i battiti del mio?

Lascia dormir, sulla cima
dell’oblio, quanto sento:
lì, sta bene! Ché il sospiro
non lo mischi con la rima
ed evapori col vento.

Come dormono nei mari,
tutti i mostri dell’abisso,
dormir lascia le mie pene,
i capricci ed i miei canti
seppelliti entro me stesso.

Io so ben che i tuoi favori
solo usi prodigare
nella bell’età dei fiori
quella dei primi amori,
senza nubi né dolori.

Molti anni son passati
dopo che con bacio ardente
abbracciasti la mia fronte…
Or quel bacio s’è freddato
e l’ho ormai dimenticato.

Ma già prima di partire
dì che al tuo accento sublime
sempre ha risposto in me
un lamento per chi geme
e una sfida per chi opprime.

Ma tu verrai, ispirazione sacra,
di nuovo a riscaldar la fantasia,
quando triste la fé, rotta la spada
morir non possa per la patria mia;
la cetra mi darai vestita a lutto
con le corde intonate all’elegia,
per addolcir della patria le pene
e il rumore smorzar delle catene.

Ma se il tempo con l’alloro corona
i nostri sforzi, e la mia patria unita
sorge, regina, dall’ardente zona,
bianca perla dal fango restituita,
allora torna e con vigore intona
l’inno sacrato della nuova vita,
perché noi tutti in coro canteremo
anche se nel sepolcro giaceremo.

JOSE' RIZAL
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