martedì 10 novembre 2009

LETTERA

Ricordi tu il mare e le macchine,
le stive piene di buio
e quel nostro furioso amore per le Filippine,
per le grandi stelle sospese
su Famagosta?

Non c'era marinaio
che non guardasse laggiù
dove nella sera che muore
si sente il respiro dei tropici.

Ricordi tu come in noi
svanivano a poco a poco le estreme speranze
la fiducia nell'uomo e nel bene,
nel romanticismo
e in tutti gli altri inutili desideri?

E ti ricordi come troppo presto, forse,
ci preserro nella trappola della vita?
Tardi ce ne siamo accorti,
quando già eravamo stretti senza scampo.
Come alle belve in gabbia
ci brillavano gli occhi
che ci giravano intorno implorando pietà.
Ed eravamo iovani, così giovani...

Poi un odio profondo ci penetrò nel cuore,
come cancrena, coe lebbra
cresceva e ci mangiava l'anima,
tramava ozi crudeli
e cupe disperazioni, brigava nel sangue
e urlava minaccioso. Ma era presto,
troppo presto...

Eppure là in alto, nel cielo,
fremevano ancora le ali dei gabbiani
e brillava l'azzurro come mica
e ancora si spalancava lo spazio infinito
e ancora, all'orizzonte, ogni sera,
ad una ad una si perdevano le vele,
sparivano le vele... Ma noi,
noi eravamo ciechi.

Ora questo è passato, è finito per sempre.
Ma per il sonno che abbiamo dormito
nello stesso giaciglio di paglia,
io voglio dirti come oggi credo
e come mi sia risvegliato.

Per questa fede entrata nella mia vita
io non mi uccido: il vecchio odio
non è più nel mio cuore
ma in una lotta che irrompe.

E così noi avremo le nostre Filippine,
le grandi stelle sospese
su Famagosta
e la felicità ch'era spento dentro di noi
ed il perduto amore per le macchine
e l'azzurro infinito del mare
dove si sente il soffio dei tropici.

Ora è notte,
la macchina canta al ritmo della fede sicura.
Se tu sapessi quanto amo la vita
e come odio le vane chimere!

Per me è chiaro come la luce del giorno:
a testate romperemo il ghiaccio
e all'orizzonte oscuro il sole,
il nostro forte sole sorgerà:
e che mi bruci pyre le ali
come a una piccola farfalla!
Io non imprecherò, non mi lamenterò
perché tanto so
che si deve morire.

Ma morire
quando la terra si scrolla di dosso
le sue velenose muffe
e milioni di uomini risorgono,
oh, questo è un canto,
un incantevole canto!

NIKOLAJ VAPZAROV, TR. LEONARDO MANCINO

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