sabato 8 marzo 2008

LA VOCE CHE CANTA NEI GIARDINI

Come afferrare questa voce che affiora da me
Quasi uccello dal cielo, e tutta si aliena,
A sé bastevole e cosciente del suo esistere,
Questa voce che innocente deride la terra natia
Di sangue e molle ignoranza, quando canta
Nella sua pura campagna e che non posso
Con le dita piegate toccare, limitare
Con lo sguardo deluso lungamente (forse in cima
Alle scale). Ma come afferrare questa voce
Muta un tempo nella carne del primo mio destarmi
Come inusitata e cieca straniera più in fretta maturante,
Voce che adesso canta nello spazio verde
Dell’uccello di là dall’udito, tramutato in uccello

Timoroso di violare qualche legge
Che non conosco, mi appiatto sotto i muri.
I muri a grata della veglia, con le prime tracce
Della stanchezza di formica nel muovere le membra
A chi riconoscere la vana caccia, a chi domandare,
A chi nella pianura di sole e di catrame azzurro

A chi, sulla panchina del viale pietrificato,
A chi domandare della voce nei giardini?
Gli uomini pongono le mani sopra i tavoli usati,
Intingono il pane nel sale, ridono o se ne vanno,
Solitamente per la porta e spariscono in sé,
O senza sé.E quelli morti ai quali temo
chiedere perché forse troppo, troppo sanno,
nell’attento smontaggio dei loro destini passati
come orologiai, magari fuori dai giardini.

Resta forse, tuttavia, un albero al vento,
Una via, e alquanta maturità di durata,
La voce che un tempo qui abitava
Ed ora canta nei giardini.
IVAN V. LALIĆ, TR. EROS SEQUI

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